Quando il vino fa (anche) bene, “Cappello di prete” protagonista di una degustazione AIS

Quando il vino fa (anche) bene, “Cappello di prete” protagonista di una degustazione AIS

3 Dicembre 2021 0 Di Redazione

Un altro grande evento firmato Associazione Italiana Sommelier di Lecce, guidata da Amedeo Pasquino, oggi a partire dalle 19:30 al Grand Hotel Tiziano: la degustazione di  alcune annate storiche – e oramai introvabili – di uno dei vini più iconici del Salento, il “Cappello di Prete dell’Azienda Candido”, in una serata a sfondo benefico che intende sottolineare i valori  della solidarietà, del rispetto e della valorizzazione delle tradizioni e dell’importanza dei momenti di condivisione e convivialità,  elementi da sempre caratterizzanti il mondo del vino.

In degustazione  le annate 1975, 1977, 1993, 2005, 2103 e 2017 di “Cappello di Prete (queste ultime due in formato magnum). Il wine tasting si concluderà con l’abbinamento dei vini in degustazione ad un piatto appositamente studiato per la serata e realizzato dallo chef del Grand Hotel Tiziano.

Ad ogni partecipante verrà inoltre consegnata una bottiglia di “Cappello di Prete”,  il cui costo, compreso nel contributo di partecipazione previsto per la serata, sarà devoluto in beneficenza alla Caritas Diocesana di Lecce. Il contributo di partecipazione è di 30 euro (comprensivo della bottiglia).

“Cappello di prete”: quarantasette anni di Negroamaro in bottiglia

Un’idea di Alessandro Candido e Severino Garofano che, entrambi, hanno mutato in sostanza piacevolmente fruibile. Trascorso quasi mezzo secolo ma un portamento fiero del suo cammino: un’uva da taglio che diventa nobilissimo vino e di grande personalità.

Inizi degli anni ’70 del secolo breve, i fratelli Candido, Alessandro e Giacomo, già storici imbottigliatori di rosato di Negroamaro, vollero mettere sotto vetro anche una vinificazione rossa di quel vitigno. C’era l’enologo venuto dall’Irpinia che ispirò il rinascimento dell’enologia di Puglia. C’era una mappatura dei terreni dell’azienda Candido, oggi si direbbero dei cru se fossimo oltralpe.

C’era il Niurumaru, c’era il desiderio di avere un vino rosso che innovasse il panorama per originalità del carattere e la tipicità. E c’erano anche dei piccoli carati di legno pregiato.

Uno dei cru più vocati all’uva da compagnia si chiama proprio Cappello di Prete, mettere insieme generosità del terreno, dedizione alla coltivazione storica e sapienza enologica non può che restituire qualcosa che diventa etichetta di riferimento per il mondo intero.

Il Cappello di Prete, pugno di ferro in guanto di velluto, morbido e possente, continua ad essere uno dei vini la cui etichetta genera prestigio a chiunque la proponga.

Era ed è un vino capace di mantenere l’onore del tempo. Che precede l’evoluzione del gusto e di saper mutare pur tenendosi lontano dalle tendenze. Il Cappello di Prete non è un prêt-à-porter, nonostante l’assonanza.

Perché dietro al Cappello di Prete c’è sempre Alessandro che ne garantisce la continuità e, nonostante il tempo, i collaboratori che si sono avvicendati hanno compreso lo spirito e modellato l’evoluzione. Con il contributo extra ordinario di Leonardo Pinto, attuale consulente enologico.

Il risultato? La moda c’è chi la segue e c’è chi la determina, il Cappello di Prete appartiene alla seconda categoria.

Non resta che la verifica. Non resta che il piacere del riscontro. E, dunque, si vada a provare se davvero, in un calice, possano convivere il fu, l’è ed il sarà.

 

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